Psr, un’occasione da valorizzare

Psr, un’occasione da valorizzare

Il tema del momento è sicuramente la recente approvazione della nuova Pac e come più volte ipotizzato la sostenibilità è la parola chiave di questa riforma. Di pari passo, quando si parla di Pac, si parla anche inevitabilmente di Piani di svagricoltura-300x145iluppo rurale. Come le due politiche si intreccino tra loro ne parliamo con Michele Pisante, professore dell’Università degli Studi di Teramo impegnato in prima persona nella impostazione dei nuovi Psr di alcune Regioni.

«La nuova Pac è stata approvata, è vero,ma c’è da scrivere il dizionario e in queste settimane il Ministero incontrerà le varie Regioni per discutere dei Piani di sviluppo rurale. È vero che ci sono già le prime difficoltà operative,ma forse è un po’ prematuro tracciare adesso un percorso virtuoso della nuova Pac. Sulla sostenibilità della nuova Pac, invece, quindi sul secondo pilastro, si può già dire molto, perché c’è già chiarezza in termini di risorse disponibili e le Regioni saranno chiamate a definire obiettivi e indicatori di risultato in linea con la nuova politica agricola comunitaria per rendere competitive le aziende dopo il 2020. O, meglio, dopo il 2021, considerato l’anno di transizione. Personalmente ho già partecipato a una serie di incontri con la Regione Abruzzo per definire questi percorsi, anche se al momento le Regioni sono più impegnate a determinare quella che sarà la convergenza interna che non a definire gli obiettivi dello sviluppo rurale». Continua a leggere

AGRICOLTURA CONSERVATIVA E DI PRECISIONE

È ancora presto quindi per dare indicazioni pratiche agli agricoltori?
«Gli aspetti operativi sono tutti da definire, ma sicuramente si ha già una traccia di quella che sarà la nuova Pac e i Psr dovranno complementare quello che i pagamenti diretti non riusciranno più a garantire agli agricoltori cosiddetti storici. In altre parole, si passa dall’aiuto al reddito a un indirizzo rispetto all’impegno che ciascun agricoltore dovrà assumere, per cui innovazione, conoscenza, formazione e informazione saranno necessarie per rendere le aziende agricole competitive e farle stare sul mercato. Allo stesso tempo occorrerà favorire l’aggregazione delle produzioni per le filiere agroindustriali, che sono di primaria importanza per la nostra agricoltura».

In qualità di presidente di Aigacos e forte sostenitore dell’agricoltura conservativa, si può interpretare questa nuova Pac come uno stimolo ad applicare i criteri di queste tecnologie?
«È una delle prerogative della nuova Pac e noi dobbiamo impegnarci per renderla ulteriormente più sostenibile per le aziende agricole, cercando di rinnovare il parco macchine secondo queste nuove esigenze. I nuovi bisogni tecnologici, infatti, consentiranno da una parte di aumentare l’efficienza delle aziende e dall’altra di perseguire gli obiettivi di protezione dell’ambiente e di tutela climatica che laUe richiede. E tutto questo apre uno scenario di opportunità dopo il 2020, o meglio già dal 2017 2018 quando ci sarà la revisione di medio periodo della nuova programmazione, dove le Regioni potranno definire anche quale potrà essere il contributo dell’agricoltura alla tutela climatica, aprendosi il grande scenario dei certificati dei crediti di carbonio».

È presumibile che saranno previsti contributi nei vari Psr a favore delle macchine per l’agricoltura conservativa, come peraltro alcune Regioni già hanno fatto negli ultimi due anni?
«Credo che ci sia bisogno di tecnologie e di implementazione delle tecnologie, quindi suggerirei in primo luogo di identificare gli obiettivi da raggiungere e successivamente di andare a scegliere le tecnologie necessarie per conseguire questi risultati. Quindi ai trattori combinare più attrezzature intelligenti ed efficienti. L’inserimento delle seminatrici da sodo nel Psr Lombardia sono state un esempio, ma mi riferisco anche ad altre macchine che possono consentire un aumento dell’efficienza e soprattutto alle tecnologie dell’agricoltura di precisione che, insieme a quelle di agricoltura conservativa, consentono di incrementare l’efficienza»

Perché finora queste “nuove” tecniche conservative non hanno avuto grande diffusione in Italia?
«Non vedrei in termini negativi questo riscontro, perché il fatto di essere passati, dopo decenni di tecniche di lavorazione convenzionale con aratura profonda e inversione degli strati, alle lavorazioni superficiali e con elementi discissori è già stato un notevole cambiamento. Oggi ad esempio sta prendendo piede lo strip till, opportunità straordinaria per complementare la semina su sodo per alcune coltivazioni a ciclo primaverileestivo, quindi sono tutte occasioni che l’agricoltore deve cogliere. Ma io credo che si debbano identificare i risultati che si vogliono ottenere da una revisione critica dei sistemi di gestione della produzione. Mi riferisco innanzitutto alla sostenibilità economica, che porta inevitabilmente con sé una riduzione dei costi. E se questa riduzione comporta anche unmiglioramento della qualità e della fertilità agronomica dei suoli, un risparmio nei consumi idrici e nell’uso di fertilizzanti chimici di sintesi, un calo delle avversità (oggi sempre più favorite dal cambiamento climatico in atto), probabilmente tutti questi obiettivi non solo possono essere riconosciuti, ma anche adeguatamente compensati agli agricoltori, proprio perché identificabili come servizi ecosistemici».

LA FIGURA DEL CONTOTERZISTA SARÀ DETERMINANTE

Ma è verosimile che l’agricoltore italiano sia ancora attratto più dai contributi economici che non dai benefici che certe nuove tecnologie consentono…
«È vero,ma noi dobbiamo cercare di integrare lemisure dei Psr, quindi se diamo incentivi perché promuoviamo i contratti di filiera, e questi contratti hanno bisogno di certificazione di sostenibilità ambientale, è evidente che non si possa prescindere dalle tecnologie. Quindi, per avere accesso allamisura di un pagamento, di un’integrazione al reddito così importante, indirettamente sarà necessario ricorrere a un’innovazione tecnologica. E se l’azienda ha una superficie che non è rappresentativa per dotarsi di una innovazione tecnologica cospicua, allora interviene in modo straordinario il sistema del contoterzismo, perché le imprese agromeccaniche sono le prime che potrebbero propagare le tecnologie, cercando di ridurre l’impatto che ogni azienda può avere a seguito dell’acquisto di queste nuove attrezzature. Intendo dire che c’è un’economia di scala e dobbiamo cercare di inserire nella filiera anche i diversi attori della produzione agricola per la tutela ambientale».

Quindi la figura del contoterzista, nell’ottica di una agricoltura sempre più sostenibile, avrà un ruolo maggiore?
«Direi fondamentale. C’è bisogno di convergenza tra i produttori, perché ormai per essere competitivi dovremmo avere aziende di oltre 50 ettari, mentre sappiamo che la media in Italia è di soli 7 ettari, per quanto aumentata negli ultimi dieci anni. Siamo cioè ben lontani damedie europee, dove un investimento tecnologico è più accessibile proprio per le dimensioni aziendali superiori».

Il dato di fatto è che i contoterzisti finora sono rimasti sempre esclusi dai contributi Psr. Cambierà qualcosa con i nuovi Psr?
«Le Regioni dovranno prevedere che nella organizzazione di filiera possano rientrare anche i contoterzisti come attori importanti non solo per la fase di gestione della produzione agricola, ma anche per quella di stoccaggio differenziato della produzione primaria, nel senso che il produttore non si limita a produrre in campo, ma va oltre il campo. E in questo ambito possono innestarsi ancora azioni virtuose come le polizzemultirischio e i sistemi di accesso al credito».

UNA NUOVA RADIOGRAFIA DEL SISTEMA PRODUTTIVO

Ci sarà con la nuova Pac una sorta di rivoluzione in campo agricolo, cioè cambierà il sistema di fare agricoltura?
«Da qui a pochi anni vedremo una nuova radiografia del sistema produttivo sia in Italia che nel mondo. Innanzitutto ci sarà sempre più bisogno di produrre e come sistema Italia non possiamo più permetterci di rimanere importatori netti come siamo attualmente. Inoltre, le filiere agroindustriali italiane avranno sempre più bisogno di certificare la zona di origine geografica delle loro produzioni, se vogliono mantenere questa fascia premium del food made in Italy. D’altronde la nostra competitività vincerà solo se al sistema di controllo della qualità e della sicurezza del consumatore verrà attribuito anche un valore economico, altrimenti è evidente che continueremo a importare materia prima e in caso di crisi di mercato, ragionevolmente prevedibili nell’arco di 45 anni, non avremo le soluzioni per reagire».

Possiamo allora concludere con una previsione ottimista, per cui la sostenibilità sarà applicata davvero in concreto?
«Assolutamente sì, ecco perché non bisogna abusare di questo termine, ma dare alla sostenibilità un contenuto reale, così come reale è l’agricoltura. L’agricoltura sarà sostenibile solo se gli obiettivi di competitività e redditività dell’azienda agricola saranno perseguiti e su questo le scelte politiche che saranno adottate nei prossimi mesi dal nostro Paese e dalle nostre Regioni saranno decisive. Pur nell’incertezza in cui operiamo ogni giorno, ci auguriamo che i Piani operativi siano definiti entro il 31 luglio come decreti attuativi di ciascun paese membro e che anche i Psr saranno ultimati nei prossimimesi in modo da poter partire effettivamente nel 2015».

Fonte: Terra e Vita, gennaio 2014